L’irlandese Santa Brigida
penitente nella valle della Sieve

Nella storia religiosa della Toscana alcuni santi sono ‘misteriosi’, hanno un culto ab immemorabili e l’agiografia incompleta o simile a quella di altri dallo stesso nome ma di vicende diverse. Eppure sono ancora venerati con fervore dai fedeli, hanno le loro feste e battezzano chiese famose o piccoli centri che ‘ci tengono’ alla propria identità.
Una di loro è Santa Brigida di Fiesole (secolo IX) che ha una vita in parte somigliante a quella della più nota Brigida di Kildare (secolo VI), patrona d’Irlanda. Ma, diversamente dalla sua omonima, visse presso Lubaco, sui monti a destra della Sieve, a nord di Fiesole, in luoghi oggi del comune di Pontassieve.
Aveva un fratello di nome Andrea, che lasciò lei e la patria per accompagnare il proprio maestro Donato in pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio di ritorno però fu nominato arcidiacono dallo stesso Donato, eletto vescovo di Fiesole (829-876), e non tornò più in Irlanda. Fondò quindi una chiesa a San Martino sulla riva destra del torrente Mensola e accanto un monastero di cui divenne il primo abate. Dopo molto tempo, sentendosi vicino alla morte (ca 880) ebbe il desiderio di rivedere la sorella che in Irlanda serviva anch’essa il Signore.
Brigida fu così trasportata miracolosamente al suo capezzale e qui promise di restare presso di lui e la sua tomba.
Da allora la donna visse da eremita in austera penitenza nella boscaglia di Lubaco dove morì un anno imprecisato il primo giorno di febbraio, giorno e mese che ebbe in comune con la santa di Kildare.
Nel borgo che si ancora chiama proprio Santa Brigida i restauri nel 1953 portarono alla luce una primitiva cappellina, forse eretta sopra la grotta dove la penitente era deceduta. Sotto il pavimento furono ritrovate delle ossa, ritenute le reliquie del suo corpo. Oggi l’ambiente è ben conservato e abbellito con delle originali sculture di Pietro Montini († 1919).

Sempre a destra della Sieve si trovava la pieve di Sant’Eustachio in Acone. Ebbe, anche questo santo, un culto antico e altrettanto misterioso – nell’VIII secolo esisteva a Roma una diaconia con il suo nome.
L’agiografia lo ricorda come un generale romano di nome Placido che un giorno, cacciando, inseguì un cervo di straordinaria bellezza. Vide poi l’animale fermarsi su una rupe e mostrargli tra le corna una croce con sopra la figura di Cristo che gli disse: “Placido, perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”. L’effetto fu immediato: si convertì e ricevette il battesimo, cambiando il suo nome in quello di Eustachio. Ebbe poi un certo numero di avventure e disavventure che lo condussero in Egitto, a Roma e alla fine, con la famiglia, all’inevitabile martirio.
Perché il coraggioso generale battezzasse la pieve di Acone non è noto. In generale si può pensare un culto sorto presso un itinerario dell’Antichità e a dei vicini villaggi romani. La strada in questo caso era quella saliva dall’Italia centrale e dalla valle dell’Arno verso il nord passando da Dicomano, San Godenzo e l’Alpe, fino a Forlì e al mar Adriatico di Ravenna (... va bene anche il senso inverso).
Comunque ad Acone è interessante notare, per la storia dei santi irlandesi di Toscana, la frazione di Colognole nella quale si trovarono delle chiese dal titolo di San Piero, di Sant’Ellero (Ilario) e ... di Santa Brigida, la penitente di Lubaco con un secondo luogo a lei dedicato e distinto.
“Santa Brigida a Colognole” fu anche il nome di un “popolo”, cioè di un comunello rurale, che è ricordato in due pergamene del 1368.
Quell’anno, di maggio, al suono della campana si riunì in questo particolare luogo, presso l’abitazione “mei Dominici notarii”(di me Domenico notaio), l’assemblea degli uomini del popolo di Sant’Eustachio per eleggere il suo sindaco e rettore (che non era un prete, ma un rappresentante civico) “pro negotiis et utilitate dicti populi ...”.
Si adunarono Rustichello di Credi, Bencivenni di Neri, Piero di Nardo, Cino di Lippo, Pagno di Iacobo, Giovanni di Simone, Compiuto di Ciolo, Salimbene di Giovanni, Zenobio di Zenobio, Ferro di Cavriolo, Bencio di Francesco, Matteo di Simone, Giovanni di Baldo, Stefano di Benuccio, Baccello di Baldo e Bianco di Puccio.
Elessero come rettore Bencivenni di Neri. Furono testimoni Piero di Ammannato e Ugo di Viaio da Montebonello. Alla fine firmò il notaio Domenico – il loro ospite – che era figlio di ser Benedetto detto Betto del fu Nuccio da Firenze.
Una quindicina di giorni dopo simile elezione avvenne proprio per il popolo di Santa Brigida a Colognole, ancora al suono della campana e presso la casa del notaio. Gli uomini furono Chiaro del fu Corso, Mazzuolo di Palmieri, Guido di Dato, Torello di Giovanni, Michele di Guido, Vieri di Iacobo, Fazio del fu Michele, Andrea di Guardi e Domenico di Bartolo.
Rettore venne eletto Domenico di Bartolo, alla presenza dei testimoni Zenobio di Zenobio di Acone, Iacobo di Tancredino da Monte e Domenico di Lippo “famulo” (servo) di donna Lagia.

[Quel maggio 1368 si scrissero molte altre pergamene sulle elezioni dei rettori di questi comunelli ‘fiorentini’.
Sebbene il motivo fosse quello dei “negotii”, cioè di affari generici, dovette pure avervi una parte Carlo IV di Boemia che era in Veneto e stava per discendere a Roma a farsi incoronare imperatore dal papa. Sarebbe arrivato in Toscana a settembre.
In previsione del passaggio infatti un certo nervosismo dovette agitare nella regione le città che in passato si erano opposte o steso i mantelli ai re nordeuropei giunti a rivendicare la corona.
Firenze pertanto sentì la necessità di organizzare in toto le comunità del contado e forse accertarne, perché no, la lealtà.
Carlo IV infatti non si impicciò della politica italiana dove era ben consolidata, ma si rivelò ‘esplosivo’ in quelle città travagliate da guerre interne, come Siena e Pisa che rovesciarono i loro governi].

Paola Ircani Menichini, 18 marzo 2022.
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Dedicato ai santi irlandesi




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